We are glad to share Luca Illetterati’s text Il concetto di vita in Hegel: due libri recenti, which reviews two recently published books on Hegel: Pensare la vita. Saggio su Hegel by Stefania Achella (Il Mulino, 2019) and Hegel’s Concept of Life. Self-Consciousness, Freedom, Logic by Karen Ng (Oxford University Press, 2020). A shorter version of this text appeared in the Italian newspaper il manifesto on April 26th, 2020.
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Il concetto di vita in Hegel: due libri recenti
La nozione di vita è uno dei nuclei problematici più densi attorno a cui ha lavorato la riflessione filosofica degli ultimi anni. Declinata in chiave di bioetica, di biodiritto, di biopolitica, oppure come oggetto di considerazione della teoria critica delle forme di vita o nei termini invece più tecnici della filosofia della biologia, essa costituisce un fuoco di attenzione che nessuna delle diverse prospettive riesce comunque a esaurire.
Non è in questo senso un caso che siano usciti pressoché contemporaneamente, uno in Italia e uno negli Usa, due libri di due giovani studiose – Stefania Achella e Karen Ng – che pongono entrambi come filtro della loro lettura della filosofia di Hegel proprio il concetto di vita.
Si tratta in realtà di due libri molto diversi l’uno dall’altro e anzi per alcuni aspetti si potrebbe dire che l’uno possiede ciò che all’altro manca, e viceversa. Il libro di Stefania Achella (Pensare la vita. Saggio su Hegel, Il Mulino, 2019) attraversa l’intera evoluzione del pensiero hegeliano, dagli scritti giovanili, passando per la Fenomenologia dello spirito per arrivare fino ai testi sistematici della maturità, collocandolo molto opportunamente all’interno del contesto filosofico e scientifico dentro cui esso sorge, mostrandone perciò i vincoli non solo con Kant, ma ovviamente con Schelling, con Fichte, con Jacobi, nonché, ed è questo un aspetto significativo della lettura di Achella, con il dibattito scientifico che porta alla nascita proprio tra fine Settecento e primi dell’Ottocento della biologia come disciplina scientifica autonoma. Il libro di Karen Ng (Hegel’s Concept of Life. Self-Consciousness, Freedom, Logic, Oxford University Press, 2020) è forse meno attento nel disegnare il paesaggio culturale dentro cui si muove la riflessione hegeliana, ma è invece particolarmente efficace sul piano argomentativo e nell’analisi dei testi. L’autrice muove da una considerazione della Critica del giudizio kantiana, ritenuta giustamente il testo basilare per Hegel sulla questione, per poi dedicarsi a un’analisi di dettaglio dello scritto relativo alla differenza fra la filosofia di Fichte e quella di Schelling, quindi alla Fenomenologia dello spirito, per giungere infine a una lettura originale della Scienza della logica cui è dedicata l’intera seconda parte del volume.
Sì, perché la vita, per Hegel, è un tema che riguarda non solo la filosofia della natura, dove in effetti ci si aspetta di trovarne una sua trattazione, ma anche la logica. Nella parte finale della sua Scienza della logica, quella che egli denomina come la dottrina del concetto, oltre che dei diversi tipi di giudizio, delle diverse forme del sillogismo, ovvero di tutto ciò che in effetti solitamente troviamo all’interno della logica, c’è infatti anche una parte consistente esplicitamente dedicata all’idea della vita. Hegel è ben consapevole dello scandalo che questa intrusione della vita nella logica produce e infatti proprio all’inizio del capitolo scrive: «l’idea della vita tocca un oggetto così concreto e, se si vuole, così reale, che con essa secondo la rappresentazione ordinaria della logica il campo di questa può sembrare oltrepassato». Eppure, dice Hegel, se la logica ha a che fare con la verità, non può non avere a che fare con la vita. Anzi, la vita, secondo Hegel, è l’ambito privilegiato attraverso il quale è possibile cogliere ed evidenziare l’unilateralità di tutte quelle visioni della verità che sono incapaci di rendere conto del dinamismo, della trasformazione, del diventare altro da sé rimando a un tempo identici a sé che costituisce la realtà nella sua concreta vitalità storica. Quel tipo di pensiero che si attiene alla logica ordinaria è capace di trattare la vita, secondo Hegel, solo come un alcunché di morto. Perché solo così, pensando appunto la vita come un alcunché di morto, il pensiero riesce ad evitare di pensare la contraddizione che la considerazione iuxta propria principia di ciò che è vivo, secondo Hegel, implica. Pensare la vita significa infatti, secondo Hegel, per quanto questo appaia scandaloso alla logica dell’intelletto, pensare la contraddizione: «c’è chi dice che la contraddizione non si può pensare – scrive infatti nella Scienza della logica – ma essa, nel dolore del vivente è piuttosto un’esistenza reale». Rifiutandosi di pensare la contraddizione, relegando tutto ciò che fuoriesce dalle rigide categorie della logica ordinaria, il pensiero dell’intelletto si trova nella necessità o di ridurre la vita a qualcosa d’altro rispetto ad essa, ovvero appunto ad alcunché di non vivo, oppure fa della vita, giocoforza, un mistero incomprensibile, qualcosa che sta al di là del logos, legittimando così tutte quelle forme di irrazionalismo che di fronte all’impossibilità di comprendere razionalmente ciò che ci costituisce in modo così concreto, trasformano la vita nel miracolo che spalanca le porte alle più diverse forme di approccio extra-razionale nei confronti del reale.
L’intento generale che soggiace tanto alla lettura di Achella quanto a quella di Ng è il medesimo, ovvero mostrare in che senso la focalizzazione sul concetto di vita sia ciò che consente a Hegel di elaborare un modello di ragione totalmente nuovo. La tesi forte che Achella intende infatti sostenere è che il sistema di Hegel è in qualche modo l’esito di un cambio di paradigma nella costituzione della razionalità, per cui da un pensiero che assume come modello-guida la fisica newtoniana, e dunque la modalità di considerazione degli oggetti che è propria della fisica, si passerebbe, appunto con Hegel, a un pensiero che assume invece la vita, e dunque il dinamismo delle strutture biologiche, la loro plasticità e la loro storicità, come struttura fondante del pensiero stesso. Quella di Hegel sarebbe dunque – questa la proposta di Achella – una ontologia vivente, ovvero una considerazione della realtà che proprio in quanto muove dalla vita si porrebbe al di là tanto di quelle forme di idealismo che tendono a costringere il mondo dentro le maglie della soggettività, quanto di quelle forme di realismo secondo le quali il mondo è già costituito in modo totalmente indipendente dal pensiero e dalla soggettività. Altrettanto, secondo Ng non si tratta tanto di mostrare che il pensiero è per Hegel qualcosa di simile alla vita, quanto che il pensiero è una attività a tutti gli effetti vivente, dinamica e in continuo sviluppo e svolgimento. Sottolineare la centralità della nozione di vita consente a Ng di prendere così almeno in parte le distanze da alcune interpretazioni della filosofia hegeliana che hanno segnato il dibattito degli ultimi anni in USA (la più influente delle quali è certamente quella di Robert Pippin) che tendono a vedere in essa una netta contrapposizione tra il mondo della natura e il mondo dello spirito, tra il regno della necessità naturale e quello della libertà spirituale. Secondo Ng è invece proprio a partire dalla struttura autonormativa e autodeterminantesi della vita che si sviluppa il concetto di libertà e quindi il concetto stesso di spirito. La considerazione della vita sarebbe così il luogo sistematico che consente di porre la filosofia hegeliana al di là dei dualismi che caratterizzano l’intera filosofia moderna e che trovano una loro peculiare declinazione all’interno della stessa impresa trascendentale kantiana.
Entrambi i testi rimandano per certi versi a una questione a cui fanno cenno e che però non discutono: pensare la vita come il concetto che fa da fulcro del modello di ragione sembra per molti versi piegare il pensiero di Hegel in direzione di una qualche forma di naturalismo. Dire infatti che la vita gioca un ruolo fondativo essenziale al fine di pensare il modo d’essere del pensiero e che la logica è l’espressione della dinamica della vita sembra implicare, appunto, che il pensiero è dunque un alcunché di naturale, ovvero di radicato nella naturalità della vita. Di fronte a questa possibilità, tanto Achella quanto Ng in qualche modo indietreggiano o si mostrano estremamente prudenti, ritenendo o tendenzialmente inadeguato parlare di naturalismo in relazione alla filosofia di Hegel (Achella) o comunque difficile inquadrare la filosofia hegeliana all’interno del quadro concettuale del naturalismo contemporaneo (Ng). Forse però questa è una sfida che merita di essere percorsa. Non certo con l’intento di incapsulare la filosofia di Hegel dentro le forme del naturalismo contemporaneo, per renderlo magari più digeribile allo spirito del tempo, quanto piuttosto per mostrare se, come ed eventualmente in che senso la forma tutta peculiare di naturalismo che la filosofia hegeliana parrebbe incarnare, sia in grado di mettere in discussione molti dei presupposti non discussi delle diverse forme di naturalismo filosofico oggi così mainstrem. E di farlo, questo l’elemento particolarmente significativo, da un punto di vista che parrebbe essere per molti versi esso stesso naturalistico. Quello di Hegel sembra infatti caratterizzarsi, se si passa l’ossimoro, come una sorta di naturalismo antinaturalistico: antinaturalistico, in quanto costituisce una critica radicale della metafisica del naturalismo, ovvero della pretesa di ridurre la totalità della realtà alla dimensione dell’oggetto naturale; ma naturalismo, pensiero cioè che non rimanda a nessuna entità esterna che possa giustificarlo e che nel suo tentativo di cogliere la ragione del mondo e nel mondo è anche una critica immanente a ogni forma di supernaturalismo spiritualistico. Rispetto ad alcune forme del naturalismo contemporaneo, ovvero rispetto alle diverse forme di riduzionismo più o meno liberali che attraversano il naturalismo contemporaneo, Hegel direbbe infatti che esse non sono sufficientemente e radicalmente naturalistiche, ovvero che esse, muovendosi dentro un concetto astratto e limitato di natura, non sono in grado di rendere conto di quella vita, di quella soggettività e di quella libertà che non sono l’altro dalla natura, l’irruzione di una dimensione esterna alla natura, quanto piuttosto la deflagrazione di una sua visione riduttiva, parziale e unilaterale.
(Luca Illetterati)
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