Le recenti vicende elettorali australiane hanno fornito ulteriore occasione per riflettere sulla tematica, sempre attuale, del rapporto governo-università per ciò che riguarda i finanziamenti alla ricerca. La prima pietra viene scagliata da Jamie Briggs il 5 settembre, a due giorni dalle elezioni. In qualità di Chairman of the Scrutiny of Government Waste Committee, dichiara che la Coalition conservatrice guidata da Tony Abbott, se vittoriosa, agirà in modo tale che i fondi destinati alla ricerca non siano più sprecati in “progetti ridicoli”, ma vengano ricanalizzati verso progetti realmente utili alla comunità australiana.
Tra i ridiculous projects, colpevolmente supportati dal governo laburista (uscente), Mr Briggs ne cita due di area filosofica; a uno di questi, intitolato The God of Hegel’s Post-Kantian Idealism, ha lavorato, insieme ad altri, Paul Redding, professore di filosofia alla University of Sydney. In generale, l’episodio riapre la sempre discussa questione del valore delle cosiddette discipline umanistiche e del loro essere o meno “worth funding”.
Una breve parentesi sulla modalità di assegnazione dei research grants in Australia è qui d’obbligo, soprattutto per la diversità di questo metodo rispetto ad altri in Europa.
Esiste un organo specifico, l’Australian Reserach Council (ARC), che si dedica alla selezione e al conseguente finanziamento dei progetti di ricerca. A tal proposito, almeno due sono i punti da sottolineare. 1) La procedura di approvazione dei progetti non è immediata ma si realizza attraverso una serie di passaggi. Ciascuna proposta viene inviata a tre o quattro referees anonimi (other scholars in the field) i quali pronunciano il proprio giudizio. La valutazione finale è poi espressa dallo ARC College of Experts, composto da un esperto per ogni settore disciplinare. Ciò significa che i responsabili dei progetti annoverati da Briggs e frettolosamente etichettati come ridicoli, a suo tempo hanno già ampiamente difeso la propria proposta e argomentato a favore della sua rilevanza. Se è dunque di “giustificazione” che si vuol parlare, essa era già stata fornita, nonché considerata valida da un gruppo di specialisti del settore. 2) La seconda questione riguarda il modo in cui “funzionano” i research grants. L’ARC finanzia l’intero salario delle persone facenti parte del progetto approvato per i tre o quattro anni di durata dello stesso. Se chi vi partecipa ha appena acquisito un posto in un’università, i soldi forniti dall’ARC diventano il suo stipendio. Nel caso in cui invece le persone in gioco lavorino già per un’università, quest’ultima risparmia l’equivalente dello stipendio che avrebbe elargito loro, poiché vi provvede l’ARC. Tale sistema diventa dunque un modo indiretto di finanziamento all’università.
L’uscita di Briggs suscita, come prevedibile, immediate reazioni. Tra di esse, degno di nota è l’articolo dello stesso Paul Redding, apparso sul Guardian il 17 settembre, intitolato Philosophy is not a ‘ridiculous’ pursuit. It is worth funding.
Ricorrendo a un’immagine dei cartoni animati per esplicitare il paradosso che la filosofia stessa incarna – il suo essere un’attività avente l’apparenza dell’inattività –, Redding argomenta in modo estremamente elegante, puntuale ed efficace, come la filosofia, al pari di qualsiasi altro lavoro intellettuale, sia, appunto, lavoro. Con le sue parole, in un inglese che sembra scolpire la frase molto più di quanto possa fare l’italiano, “philosophizing is, like all intellectual work, work”.
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by Giovanna Miolli