Proponiamo la recensione del testo a cura di Gilles Marmasse e Alexander Schnell, Comment fonder la philosophie? L’idéalisme allemand et la question du principe premier, scritta da Alessia Giacone e apparsa sull’ultimo numero di Universa. Recensioni di filosofia. Il testo PDF della recensione può essere scaricato al seguente link.
Gilles Marmasse, Alexander Schnell (a cura di), Comment fonder la philosophie? L’idéalisme allemand et la question du principe premier, CNRS Éditions, 2014, pp. 363, € 25.00, ISBN 9782271077158
La ricerca del principio primo è uno dei problemi più spinosi della storia della metafisica, e la filosofia classica tedesca vi si è misurata ai limiti del rompicapo. Gli autori di Comment fonder la philosophie? offrono una vasta rosa di contributi originali, rimettendo in questione i grandi nomi dell’idealismo tedesco e ripensandone le formulazioni alla luce della risposta fornita al problema della fondazione. G. Marmasse e A. Schnell, maîtres de conferences all’università Paris-Sorbonne, sono i curatori di questa miscellanea ambiziosa, coordinatori di una squadra di studiosi di chiara fama. Il volume si compone di sedici saggi.
Nel primo contributo, Y a-t-il un fil conducteur de la fondation?, A. Schnell mette in dialogo Fichte, Schelling e Hegel, leggendone i sistemi al filtro delle posizioni assunte rispetto all’esteriorità. Poiché nella riflessione hegeliana la critica a Schelling doveva passare dall’inglobamento, in qualche modo, della “trascendenza nell’immanenza, mettendo in evidenza un ‘divenir-altro’ (o una ‘alienazione’) che modificasse allo stesso tempo l’accettazione fichtiana dell’immanenza” (p.35), e poiché nelle elaborazioni berlinesi Fichte confronta i concetti di “essere”, “Dio”, “Assoluto” e “trascendenza” con l’esposizione hegeliana, Schnell chiude con un vis-à-vis Fichte/Hegel, sottolineando come la divergenza più forte risieda nel rapporto al contenuto, con Hegel stabilito nel secondo momento, con Fichte nel terzo.
Segue Subjectivité, transparence, transcendence di M. Vetö. Con Kant, la soggettività a priori è l’asse portante della validità della conoscenza, tuttavia non in grado di cogliere appieno la cosa in sé, che rimane alla stregua di un insormontabile residuo. Di contro, il sistema hegeliano mette in atto un processo il cui vero scopo sembra essere quello di farsi trasparente a se stesso, sussumendo “il tutto eterogeneo nella chiarezza trasparente dello Spirito” (p.62). Tale progetto di fondazione così completo sarà rimesso in questione da Schelling nella necessità di trovare una verifica ulteriore alla struttura del reale, già penetrata da ognidove dalla Ragione; validazione da rintracciarsi a partire da un Altrove, un “Trascendente assoluto” a cui il reale possa consegnare la propria verità.
In Philosopher à partir du milieu: Schleiermacher et la question du fondement, C. Berner si sofferma sul modello messo a punto da Schleiermacher, secondo il quale la dialettica si svilupperebbe in uno spazio intermedio tra pensiero puro e volontà di sapere come attività in fieri dove il sapere in sé non è né può essere totalmente conchiuso. In seno alla radicata finitudine dell’uomo, il fondamento trascendente è offerto dall’identità relativa del pensiero e del volere, “provato dal sentimento della coscienza immediata di sé” (p.78). Esso, pur esterno al pensiero e all’essere, è die transzendente Begleitung, accompagnamento trascendente e fondamento di entrambi.
J.-C. Lemaitre analizza, in Réflexion et représentation, la question de la fondation ultime chez Reinhold, due percorsi di fondazione in Reinhold. Quest’ultimo ha costruito sulla nozione di rappresentazione una teoria della facoltà rappresentativa, anche detta filosofia elementare. Ora, è per mezzo della riflessione che si attua “il processo di divenir altro a se stesso della rappresentazione” (p.92), ed è al subentrare di questo secondo termine che il progetto di autofondazione reinholdiano, dice Lemaitre, vacilla. L’alternativa è fondare il sistema sulla storia della ragione; qui la riflessione funzionerebbe come un “orizzonte teleologico di divenire storico, non come esigenza formale e metodologica concernente il cominciamento del sistema filosofico” (p.97).
Ne L’ambiguïté systématique de Reinhold et les origines de la Wissenschaftslehre de Fichte, P. Franks si sofferma invece sulle distorsioni interpretative del filosofo. L’A. ripercorre in particolare la critica mossa da Fichte a Reinhold: per Fichte, il principio di coscienza non avrebbe la validità sopra-empirica che dovrebbe garantire. Sintetizza Franks: “[i]l modo reinholdiano per assicurare evidenza da sé non può mai permettere di sapere e affermare un principio autoesplicativo, né alcun principio autoesplicativo può essere evidente da sé alla maniera di Reinhold” (p.126).
L. Guyot, con L’idée de commencement chez Fichte. À propos d’un malentendu sur le sens du premier principe, prova a istituire un parallelo entro lo scarto tra cosa in sé e fenomeno da un lato e, dall’altro, fondamento e cominciamento della conoscenza umana. Mettendo l’Io al vertice della Dottrina della scienza, Fichte abolisce questo iato; lungi dall’essere un Assoluto o un ideale, l’Io fichtiano è, secondo Guyot, un cominciamento, fenomeno originario capace di rinsaldare il fondamento eterno del pensiero e il semplice fenomeno temporale.
In Sur quoi se fonde la conscience de notre liberté? La question de la croyance dans la première Doctrine de la science de Fichte, M. Chédin esamina il rilievo del concetto di Glaube nella filosofia di Fichte a Iena. Chédin richiama come il soggetto filosofante si veda condizionato a porre la questione delle ragioni di credere al contenuto di ciò che appare alla sua coscienza. Più originario ancora dell’Io assoluto, secondo l’A., sarebbe la credenza, un atto indimostrabile ma non irrazionale. Il contributo di M. Ivaldo, La pratique comme fondement. La Doctrine de la science de Fichte, è volto a mostrare come la ragion pratica acquisisca, nel sistema fichtiano, un ruolo di prima importanza nell’attingimento dell’intera esperienza umana. Senza la volontà, infatti, non sarebbe possibile alcun atto del conoscere, ed è questa la premessa che garantisce stabilità a quella “pratica come fondamento” messa in luce nel titolo che fa sì che la “volontà pura” sia intesa come fondamento sia teoretico che pratico.
Con Fichte, ou la révolution aborigène permanente, J.-C. Goddard propone una rilettura dell’opera fichtiana istituendo un parallelismo tra l’Urvolk considerato da Fichte nei Discorsi alla nazione tedesca e la Dottrina della scienza. La dimensione “aborigena” dell’Urvolk, che “non si comprende in relazione a una frontiera esteriore ma interiore” (p.189) e il cui modo d’essere si autodetermina geneticamente, richiamerebbe, secondo l’A., il rifiuto della Dottrina della scienza di porsi come “libro”: Goddard ne richiama la trasmissione orale a lezione, “condizione sine qua non della sua comprensione ed efficacia” (p.190), abile a suggerire “una visione collettiva essa stessa in autoformazione continua” (p.191).
In Libérer l’inhumanité en l’homme. La destruction anthropologique de l’homme dans le Vom Ich de Schelling, C. Théret indaga la condizione del soggetto finito in Schelling. La finitezza si struttura da un mondo teleologicamente sensato da cui acquisisce significazione e orientamento. In questo quadro, la libertà trascendentale consiste nel ripetere all’infinito “la distruzione dell’Io finito e del mondo, ossia a negare continuamente e ad oltranza la finitezza in generale” (p.221). Così l’Io si affermerebbe come uomo, libero “in seno alla resistenza” (p.226) al non-io; e proprio tale lotta, chiude l’A., genererebbe il senso del mondo.
L’articolo di C. Asmuth, Néant et négation dans la théorie schellingienne de la fondation, è un’apologia del negativo. Nelle Età del mondo, Schelling scriveva che nulla ripugna tanto gli uomini quanto la contraddizione, designando il niente come ciò che si ritira. Schelling giungerà a intuire il negativo come legato al fondamento primordiale: si tratta di un problema tanto storico quanto teorico, volto insieme a recuperare il passato dell’essere e a garantire solidità al reale. Rinvenendo la contraddizione più radicale in Dio, “eterno No e insieme l’eterno Sì”, “assolutamente negativo” che è “eterna ritrattazione della sua essenza in se stessa” (p.235), Schelling, secondo l’A., offre “un contributo alla filosofia del presente che fu il suo e che per certi aspetti è anche il nostro” (p.240), in un progetto che lascia addirittura trasparire una moderna teoria della differenza.
In La Phénoménologie de l’esprit est-elle la fondation ultime du “système de la science” hégélien?, J.-F. Kervégan s’interroga sul ruolo della Fenomenologia nell’ultima versione sistematica messa a punto da Hegel. La sfida hegeliana consiste nel creare un sistema capace di generare da sé la propria autofondazione. Il paradosso della Fenomenologia, spiega l’A., sta nel costituirsi come presupposto necessario della logica e del sistema pur essendo, nella formulazione finale data dal progetto enciclopedico, esterna al sistema stesso. Ora, il sistema hegeliano si costituisce come una totalità in processo. A fronte di numerosi paralleli tra la fine della Fenomenologia e la fine della Logica, l’A. riflette su come il punto d’arrivo d’entrambe, sempre “assoluto”, sia la chiave in cui rileggere la presunta scomparsa della Fenomenologia nell’Enciclopedia: “la circolarità, immagine della libertà del processo sistematico, distrugge l’illusione di un punto di arresto o di una verità ultima tanto quanto quella di un cominciamento originario” (p.264). G. Marmasse, in Hegel et le retard de la fondation, mostra come nel sistema hegeliano abbia luogo una fondazione “ritardata”. L’A. contesta le tesi di McDowell e Rockmore per far emergere la propria: di contro a qualsivoglia interpretazione “circolare”, la fondazione sarebbe più il risultato del sistema che il suo principio, inevitabilmente “in ritardo” perché “ogni ciclo comincia dall’immediatezza e la scissione” (p.278).
In Philosopher sans fondement, B. Mabille insiste sul valore della relazione in Hegel. Benché, infatti, nessun principio si salvi in quanto tale se considerato in sé, la possibilità di salvezza del sistema intero risiede nello sviluppo del processo, nell’articolazione dei momenti in legami necessari. L’eredità della speculazione hegeliana, secondo l’A., consiste nell’intendere il pensiero come congiunzione, capace di non assolutizzare alcuna tesi ma di articolarle tutte.
Nel lungo articolo di M. Marcuzzi, La place du sujet réfléchissant dans la fondation du savoir chez Hegel, si discute, in una prospettiva fichtiana, la posizione di Hegel riguardo la filosofia trascendentale di Kant e Fichte. Ma ad una tensione d’ampio respiro come quella hegeliana, desiderosa di rinvenire un fondamento capace di assicurare coerenza all’intero sistema, mancherebbe qualcosa; e il proposito dell’A., su questa scorta, è proprio quello di mostrare l’irriducibile intervento del soggetto riflettente nel passaggio dalla Scienza della logica alla Filosofia della natura, indispensabile in un processo di chiarimento reciproco dell’essere e del pensiero. Le considerazioni finali di Marcuzzi guardano all’impianto hegeliano con scetticismo: perché mentre sembra impossibile, ad avviso dell’A., produrre senso a partire unicamente dall’essere, solo un modello come quello fichtiano sarebbe pienamente capace di porre l’essere insieme col senso, cioè “senza fare astrazione dall’atto della posizione dell’essere” (p.339).
Il volume si chiude con Le rôle de la dimensione esthétique dans la question de la fondation entre romantisme, idéalisme allemand et philosophie transcendentale di A. Bertinetto, che indaga il ruolo svolto dall’estetica nel problema del fondamento. L’importanza del senso estetico ha caratterizzato l’idealismo tedesco dalle origini alla maturità: se già in uno dei primi documenti a nostra disposizione si legge chiaramente che la filosofia dello spirito è in realtà una filosofia estetica, e che il senso estetico è condizione necessaria del filosofare, ritroviamo nel pensiero più maturo di Fichte ed Hegel che “la dimensione donatrice di senso dell’esperienza estetica è […] un momento indispensabile della giustificazione filosofica dell’esperienza umana e della riflessione autofondatrice della filosofia” (p.350). L’A. si sofferma infine su Fichte, il quale, pur non arrivando a giudicare il ruolo della filosofia dell’arte significativa per il sistema, ha insistito sul valore dell’immaginazione nella dottrina trascendentale.
Il volume ha il merito di arricchire di un tassello il complesso mosaico di studi sull’idealismo tedesco. La varietà delle angolature in cui la questione del fondamento viene declinata rende Comment fonder la philosophie? una sorta di vantaggioso prontuario ad uso e consumo dello specialista, nonché una valida maniera di ripensare questioni antiche ma a tutt’oggi prive di univoche soluzioni.
Alessia Giacone, Università degli Studi di Padova, Université Paris I Panthéon-Sorbonne
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