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Siamo felici di condividere con i nostri lettori la recensione di Davide Dalla Rosa al volume Pratiche discorsive razionali. Studi sull’inferenzialismo di Robert Brandom di Pietro Salis ed edito da Mimesis (2016).
La recensione è apparsa in Universa. Recensioni di filosofia, vol. 7 n. 2 (2018) ed è scaricabile in pdf a questo link.
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Ad un’immagine filosofica tradizionale (vero-condizionale) del significato, che, con le parole di Diego Marconi, si potrebbe definire il “paradigma dominante” della filosofia del linguaggio novecentesca (Marconi 1999, p.15), si possono associare (almeno) tre tesi fondamentali: a) il significato di un enunciato dichiarativo coincide con le sue condizioni di verità; b) le condizioni di verità di un enunciato sono il risultato della composizione dei valori semantici delle sue componenti subenunciative (termini singolari e predicati); c) l’uso degli enunciati dichiarativi nelle concrete pratiche linguistiche è oggetto di studio della pragmatica, disciplina indipendente dal punto di vista esplicativo dalla semantica e ad essa subordinata nella spiegazione del linguaggio.
Il libro di Pietro Salis è una guida per una teoria che rovescia le tre tesi precedenti riguardo a verità, riferimento, composizionalità e rapporto tra semantica e pragmatica, ponendo al centro il concetto di inferenza: si tratta dell’inferenzialismo semantico sostenuto da Robert Brandom, professore a Pittsburgh. I sette capitoli di cui si compone il volume sono così divisi: nei primi quattro capitoli, di prevalente natura espositiva, l’A. si occupa di illustrare le basi teoriche della semantica inferenzialista. I capitoli terzo e quarto, soprattutto, si incentrano sulle nozioni di riferimento e verità e sul modo in cui queste nozioni, pur ridimensionate, vengono incluse nella teoria inferenzialista di Brandom. Gli ultimi tre capitoli – quinto, sesto e settimo – sono invece dedicati all’inquadramento delle principali difficoltà teoriche a cui l’inferenzialismo va incontro e di cui deve rendere conto, cioè l’olismo, la composizionalità e il rischio concreto di perdere presa sull’oggettività per il contenuto semantico delle nostre asserzioni.
Il primo capitolo dà le coordinate principali dell’inferenzialismo semantico. La tesi inferenzialista spiega come si determinano il contenuto dei nostri concetti e il significato dei nostri enunciati. Il primato esplicativo viene, come già anticipato, accordato al concetto di inferenza: la determinazione del contenuto dei nostri concetti sarebbe infatti data dall’insieme di inferenze (espresse da condizionali) in cui un’espressione linguistica può comparire fra le premesse o nella conclusione, restringendo il campo a quelle inferenze che vengono definite “materialmente buone”, ovvero semanticamente rilevanti e non solo valide da un punto di vista deduttivo; tali inferenze sono nonmonotoniche, ovvero la loro validità risente dell’aggiunta di nuove premesse (p.28). Brandom accoglie il principio secondo il quale il significato si identifica con l’uso linguistico (§1.3) mentre da una tradizione che rimonta a Kant egli accetta la tesi della “priorità del proposizionale”, da cui deriva che l’unità minima di significato sarebbe l’enunciato dichiarativo. Vengono infine elencati alcuni aspetti teorici peculiari della semantica inferenzialista (p.32 e seg.), differenti rispetto al modello tradizionale di spiegazione semantica, e viene trattata in conclusione di capitolo la relazione fra inferenzialismo e teoria della percezione.
Nel secondo capitolo l’A. si concentra sul rapporto tra semantica e pragmatica nella semantica inferenzialista. La semantica inferenzialista brandomiana è incapsulata nelle pratiche linguistiche concrete, a partire dalla cui analisi il filosofo di Pittsburgh ambisce a tracciare quella che l’A. chiama “una teoria più vasta sulla natura del linguaggio come pratica sociale, razionale, espressiva e normativa” (p.61). La teoria semantica di Brandom, esposta nel primo capitolo del libro, è infatti l’espressione, o l’esplicitazione, di meccanismi che appartengono a pratiche discorsive concrete e delle relazioni normative che intessono e che sono implicite in tali pratiche. Il gioco linguistico del dare e chiedere ragioni (p.76) assume un ruolo di primo piano: la mossa elementare di tale pratica è infatti l’asserzione, attraverso la quale viene espresso il contenuto proposizionale dell’unità minima di significato della semantica brandomiana, il giudizio assertorio. Ad ogni asserzione corrispondono degli impegni e delle autorizzazioni, che rendono possibile una valutazione delle ragioni che i partecipanti ad una pratica linguistica possiedono per fare determinate asserzioni e che vengono segnalate su un ideale segnapunti deontico (p.78). A partire da questo modello, che l’A. illustra in modo molto completo, è possibile poi capire per quale ragione la semantica debba “rispondere” alla pragmatica (p.82 e seg.): la normatività semantica, infatti, viene fatta dipendere dalla normatività presente in maniera implicita nelle pratiche linguistiche. Il capitolo si conclude con l’evidenziazione della cosiddetta “struttura fine della razionalità” (p.84) in cui vengono isolate le relazioni inferenziali che si accompagnano ad impegni e titoli e la relazione inferenziale di incompatibilità materiale, al fine, ancora, di mostrare il rapporto espressivo che intercorre fra nozioni semantiche e nozioni pragmatiche di base nella teoria di Brandom.
Il terzo capitolo è dedicato ad una ricostruzione della teoria del riferimento all’interno dell’inferenzialismo. L’A. prende avvio dalla contrapposizione fra rappresentazionalismo ed espressivismo per, con le sue parole, descrivere come Brandom tenti di “ricostruire la nozione di rappresentazione e quella di riferimento sulla base di quella d’inferenza materialmente buona” (p.93). Brandom individua una categoria di espressioni linguistiche (p.98), le ascrizioni de re di atteggiamenti proposizionali, a cui viene affidato un “ruolo esplicitamente rappresentazionale” (p.99): ad esse compete infatti, ancora con le parole dell’A., il ruolo di esprimere “la direzionalità intenzionale del pensiero e del linguaggio” (p.99). Queste ascrizioni, espresse dall’operatore credere di (to believe of) (p.101) individuano un riferimento (una res) che si suppone valido oggettivamente e condiviso dai partecipanti ad uno scambio conversazionale, verso il quale convergono impegni, titoli e anche il possibile disaccordo. Il loro funzionamento avviene grazie alle cosiddette “inferenze sostituzionali”, che vengono descritte in dettaglio dall’A. nel paragrafo finale del capitolo.
Nel quarto capitolo l’A. illustra la teoria della verità difesa da Brandom. In accordo con gli assunti teorici dell’inferenzialismo, la teoria della verità che viene scelta è una forma modificata di quella che viene detta “teoria proenunciativa della verità”, cui ci si riferisce come “deflazionismo anaforico” (p.130). La conseguenza di questa scelta teorica è, appunto, l’adozione di una forma di deflazionismo per cui “vero” non sarebbe da identificarsi in questo contesto come un predicato, bensì con “una specie di operatore, avente fondamentalmente un ruolo di tipo espressivo” (p.125). La nozione di anafora, come spiegato a p.134 e seg., viene qui impiegata per rendere conto del modo in cui l’operatore “vero” compare in un enunciato dichiarativo: dato un enunciato “p”, esso condivide il suo contenuto semantico, pur con differenze dal punto di vista pragmatico, con un proenunciato (un enunciato che si trova con un altro nella stessa relazione che intercorre fra un nome e un pronome) in cui compare l’espressione “è vero”. Si dice che fra i due enunciati si ha una dipendenza anaforica e che essi, pur condividendo il medesimo contenuto semantico, presentano delle diversità sostanziali dal punto di vista espressivo e pragmatico.
Nel quinto capitolo, notevolmente più corposo del precedente, viene esaminata una conseguenza piuttosto naturale dell’inferenzialismo, ovvero l’olismo semantico. Fodor e Lepore in particolare (p.146) hanno fatto rilevare come le inferenze materialmente buone costitutive di un contenuto concettuale siano difficili da determinare, e come l’inferenzialista sia in qualche modo costretto ad ammettere un olismo forte, secondo cui ogni singolo contenuto concettuale è costituito dalla totalità delle inferenze di un linguaggio – soluzione sicuramente indesiderabile. A partire da p.149, l’A. esamina i problemi principali connessi all’olismo semantico forte, nell’ipotesi che l’inferenzialismo non riesca a sottrarsi ad esso: le questioni problematiche non riguardano soltanto l’individuazione del contenuto concettuale, ma anche problematiche relative alla comunicazione, alla comprensione e all’apprendimento di tali contenuti. L’A. sostiene che soluzione proposta da Brandom e derivata da Sellars al problema dell’individuazione dei contenuti passi attraverso una concezione “di livello minimale” dell’afferrare concetti (p.155), ovvero l’idea secondo cui per afferrare un contenuto possiamo possedere un numero limitato di inferenze atte allo scopo. Tali inferenze materiali, perlomeno alcune di esse, dovrebbero, secondo Brandom, essere supportate da condizionali controfattuali (p.156 e seg.) e vengono dette “controfattualmente robuste” (p.158). L’A. non si dichiara particolarmente convinto di tale proposta e analizza un’idea alternativa da lui sostenuta (p.166) in qualche misura complementare, in cui vengono prese in esame le inferenze che non sono supportate da condizionali controfattuali.
Nel sesto capitolo viene messo a tema il rapporto che sussiste fra inferenzialismo e composizionalità. Come esplicitato dall’A., la composizionalità costituisce la miglior spiegazione alla produttività caratteristica delle lingue naturali, della proprietà grazie a cui “noi, a partire da un lessico numericamente finito, siamo in grado di ottenere in(de)finite combinazioni enunciative sensate” (p.178). Nell’inferenzialismo, dove l’ordine di spiegazione tradizionale è modificato, la composizionalità necessita di una revisione teorica. La prima strategia in ordine di tempo scelta da Brandom (p.179 e seg.) per rendere conto di questo fenomeno rispetta l’assunto secondo il quale le unità minime di significato sono i giudizi assertori che compaiono in inferenze materialmente buone, assegnando ai termini singolari e ai predicati che costituiscono tali giudizi dei ruoli sostituzionali. La seconda soluzione suggerita da Brandom, elaborata dopo il 2006, prevede di sostituire alla composizionalità la cosiddetta “ricorsività semantica” (p.184) per rendere conto della produttività. Questa seconda soluzione si colloca nell’ambito della semantica incompatibilista teorizzata da Brandom nei suoi lavori più tardi. Come illustrato alle p.185 e seg., la nozione modale di incompatibilità viene assunta come primitivo semantico e la produttività non viene più spiegata sulla base della composizione delle componenti sub-enunciative, bensì sulla base della ricorsività proprio della nozione semantica di incompatibilità. Questa soluzione, perfettamente in armonia con l’olismo semantico cui l’inferenzialismo si accompagna, si dimostra secondo Salis una sfida interessante per la composizionalità.
Nel settimo e conclusivo capitolo, Salis si misura con una difficoltà che l’inferenzialismo deve affrontare in virtù delle implicazioni epistemiche delle sue tesi riguardo il significato. In che misura, ci si può chiedere, si può parlare di oggettività negli scambi comunicativi che sono parte di un modello inferenzialista? Accanto all’indebolimento della nozione di verità, la semantica inferenzialista sembra correre infatti il rischio di fare ricadere l’oggettività del riferimento in forme di semplice accordo intersoggettivo (p.191); ancora, il gap epistemico e doxastico fra i partecipanti a una pratica linguistica può porre problemi consistenti in questo senso. Brandom individuerebbe, secondo l’A., due nozioni di oggettività. Riguardo la dimensione epistemica dell’oggettività, che appartiene alla pratiche linguistiche, l’A. suggerisce di tenere in considerazione le asimmetrie inferenziali e e la differente autorità epistemica di coloro i quali vi prendono parte (p.198). Pur con alcune difficoltà, egli sostiene che dovrebbe essere possibile, per una semantica di matrice brandomiana, raggiungere una forma di oggettività forte e in grado di trascendere la dimensione intersoggettiva del linguaggio. Il volume si segnala per completezza, ricchezza ed esaustività, lasciando intendere le molte potenzialità del filone di ricerca connesso alla semantica inferenzialista.
Bibliografia
Diego Marconi, La filosofia del linguaggio. Da Frege ai giorni nostri, UTET, Milano 1999.