Siamo felici di condividere con i nostri lettori la recensione di Silvestre Gristina al volume Lo spirito e la maschera. La ricezione politica di Fichte in Germania nel tempo della Prima Guerra Mondiale di Elena Alessiato, edito da Il Mulino (2018).
La recensione è apparsa in Universa. Recensioni di Filosofia, vol. 9 n.1 (2020) ed è scaricabile in pdf a questo link.
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Nelle prime pagine del suo studio dottorale Das Staatsideal Fichtes. Ein Beitrag zur Geschichte des deutschen Staatsgedanken (1928), Helmuth Johnsen scriveva: “Fichte vive […]. Il suo nome risplende […]. Quello che il nostro tempo sta vivendo può prendere senza esitazione il nome di Fichte-Renaissance”. Oggetto del volume di Elena Alessiato è questo peculiare fenomeno di rinascita degli studi fichtiani che caratterizzò la cultura politica tedesca nei primi decenni del Novecento e, in particolare, negli anni della Prima Guerra Mondiale. La tesi che supporta la ricerca è che sia possibile spiegare questa eccezionale ricezione di Fichte solo a partire dalle aspettative e dalle richieste spirituali che avevano caratterizzato la Germania di quel periodo.
Attraverso una prospettiva politico-culturale, lo studio si propone dunque di indagare in che modo la Prima Guerra Mondiale – con il lungo periodo che la precedette e le sue conseguenze – fosse stata il catalizzatore della Fichte-Renaissance e in quali modi, a quei tempi, Fichte venisse letto a seconda degli interessi, delle finalità e delle strategie argomentative delle diverse fazioni politiche. Rispetto a questa problematica proliferazione di prospettive, attraverso un’efficace metafora che serve da appunto metodologico, Alessiato chiarisce che, «come la cipolla manca di un vero nucleo, essendo la sua sostanza fatta di pellicole da sfilare che hanno consistenza finché sono avviluppate l’una nell’altra, similmente il senso di un fenomeno ricettivo è dato dall’insieme delle sue manifestazioni, dagli strati e dai veli che gli interpreti hanno sovrapposto al volto dell’autore» (p.XXIV). Quindi, i significati del fenomeno di ricezione vanno cercati anche al di là dell’autore recepito e il titolo del volume si riempie così di senso: lo spirito di Fichte veniva coperto da maschere nelle quali i lettori moderni credevano di trovare il proprio profilo spirituale. Sotto queste maschere rimaneva però ben poco di Fichte; infatti, il volto dell’autore, più che sostegno della maschera, costituiva per gli interpreti il pretesto per produrre strumenti di confronto con speranze e domande riguardanti la propria epoca e il proprio essere uomini in essa. Le interpretazioni di Fichte si mostravano, così, al contempo come deformazioni e concrezioni di senso, rispetto alle quali perdeva di importanza chi fosse il “vero Fichte”. Infatti, le diverse raffigurazioni finivano per comporre un volto inedito nel quale erano condensate le ansie, le aspettative e le speranze di un’epoca di crisi. Lo studio di Alessiato si propone di riordinare la storia della costruzione di questo volto e individuarne i tratti caratterizzanti. Le “maschere” di Fichte venivano, dunque, di volta in volta prodotte a seconda delle esigenze alle quali avrebbero dovuto rispondere, fossero queste le urgenze dei nazional-conservatori o dei socialisti. In questo senso, il volume si divide idealmente in due parti, corrispondenti a queste due principali “anime” della ricezione, delle quali si poteva saltuariamente notare il comporsi in una “smorfia” inquietante.
Nel primo capitolo, Alessiato fornisce le coordinate delle narrazioni culturali e delle impostazioni concettuali che fecero da sfondo interpretativo alle letture di Fichte. L’auto narrazione nazionalista era caratterizzata da un intreccio di temi che aveva il suo centro su un piano metafisico e metastorico delle essenze. La guerra tedesca era vista come conflitto di origine spirituale contro un “mondo di nemici”, concezione da cui derivavano la rinnovata contrapposizione tra Kultur e Zivilisation, il riferimento alle filosofie della vita per ravvivare una situazione nazionale putrescente e la necessità di compiere, tramite una guerra salvifica, quel processo di riattivazione dell’essenza spirituale tedesca, iniziato con i Befreiungskriege.
Su questo sfondo, secondo Alessiato, è possibile individuare quattro nuclei della ricezione di Fichte nell’area politica del cosiddetto “conservatorismo umanistico”. Il primo tema riguarda la ricezione della personalità di Fichte, prima che della sua filosofia. Egli veniva, infatti, letto e celebrato come eroe, come uomo di volontà dalla natura – diceva, tra gli altri, Husserl – assolutamente pratica. Alessiato comincia così fin da subito a far emergere come le pubblicazioni di stampo nazionalista non avessero un taglio scientifico, ma fossero finalizzate alla costruzione di un eroe nazionale, un Führer spirituale. Quello che ne risultava era un Fichte dai tratti mitici, con un’anima da guerriero, l’uomo che aveva denunciato la decadenza dello spirito tedesco e lottato affinché questo si riattivasse, impegnato per tutta la vita in una battaglia contro il destino, armato solo di “munizioni ideali”.
Su questo culto della personalità di Fichte si innestava la riflessione strumentale sulla sua filosofia. L’idealismo fichtiano veniva, infatti, studiato – con prevalente riferimento alle opere “popolari” – per la sua componente “ascetico-sacrificale”, cioè per la fede in valori spirituali superiori, e per la sua struttura realidealista, orientata alla realtà e alla storia. Affrontando questo secondo tema, Alessiato spiega chiaramente come questo idealismo fosse un idealismo a matrice vitalistica, secondo il quale la filosofia avrebbe dovuto essere un’arma di guerra, uno strumento di intervento sul reale. La Wissenschaftslehre fichtiana veniva così a declinarsi in una Lebenslehre, una dottrina della vita, o una filosofia per la vita, che avrebbe dovuto fornire gli strumenti teorici per la rinascita dello spirito tedesco e della nazione.
Le due prime maschere minori del Fichte eroe e del Fichte filosofo dell’intervento, si sintetizzavano in qualche modo nel Fichte patriota, “filosofo da un solo libro”: le Reden an die deutsche Nation. Così il filosofo veniva definito vero tedesco, perché patriota, e fondatore del patriottismo. Di Fichte veniva celebrata la capacità performativa del pensiero, la capacità pratica della parola di intervenire sul reale, e le Reden cominciavano ad esser lette come l’atto profetico che aveva fondato l’idea di nazione. A Berlino, Fichte aveva pronunciato il suo testamento ideale, quello che nel Novecento sarebbe stato reinterpretato come la profezia di un destino da attuare. Nel 1914, si era dunque convinti di essere chiamati ad agire in nome di Fichte, per compiere la sua profezia e rendere concreto il suo messaggio unificatore. Così, per gli autori tedeschi in esame, la guerra era “giusta” perché era lotta in atto tra essenze spirituali, in cui poteva essere rintracciato quel progressivo farsi dello spirito e della nazione profetizzata.
Tuttavia, affinché la guerra potesse essere vinta, bisognava educare alla riattivazione di questo spirito tedesco. Legato strettamente al tema del Fichte patriota-profeta è l’immagine del Fichte educatore. Nell’ultimo punto tematico, Alessiato ricostruisce, dunque, la ricezione della Erziehungslehre fichtiana. Contro il paradigma educativo dell’“addomesticamento”, tipico della Zivilisation, la Germania novecentesca riprendeva da Fichte il modello – considerato tipicamente tedesco – di un’educazione dell’uomo come risveglio rigenerativo ed etico del sé in quanto auto-attività. Sul piano nazionale, questo modello pedagogico si sarebbe dovuto tradurre in una formazione emotiva all’amor di patria, alla morte in armi come sacrificio spontaneo per la nazione e veicolo per la vita eterna dello spirito. La costruzione futura della nazione, della realizzazione della profezia fichtiana, sarebbe dovuta passare per la formazione di cittadini-guerrieri, sempre pronti ad una morte eroica in vista dell’immortalità.
Dopo aver presentato la maschera “nazionalista”, nella seconda parte del volume, Alessiato ricostruisce la seconda anima della ricezione fichtiana, quella socialista, facendo notare come questa fosse caratterizzata da un’attenzione di carattere scientifico all’integralità del pensiero fichtiano, comprendendo nella propria interpretazione anche le opere strettamente teoretiche, non solo quelle a carattere popolare. A partire dall’esposizione dell’interpretazione di Marianne Weber, Alessiato mette in luce come gli interpreti socialisti novecenteschi cercassero di recuperare Fichte come anticipatore delle loro tesi e della loro idea di socialismo. Riattualizzare lo spirito del messaggio fichtiano, seguendo la linea di filiazione ideale tra l’idealismo etico e il socialismo, significava fondare una nuova etica socialista per far fronte alla crisi spirituale tedesca. Tuttavia, nel definire questo nuovo socialismo di matrice fichtiana, bisognava tracciarne i confini teorici e le differenze rispetto al socialismo utopico e al socialismo scientifico marxiano. Bisognava, insomma, recuperare una posizione di “attivismo trascendentale”, con la sua carica antidogmatica, per scongiurare il rischio di fare del marxismo un fatalismo. Il presunto socialismo di stampo fichtiano a cui ci si sarebbe dovuti richiamare doveva presentarsi, quindi, come un socialismo critico, ovvero “etico, antimarxista per quanto moderno, critico perché retto da postulati trascendentali e attivistico nel senso di basato sull’azione pratica di soggetti individuali e collettivi, antimaterialista in quanto orientato dalla fede in ideali normativi, idealistico ma non utopico, perché vincolato, benché non subordinato, alle condizioni del reale” (p.212). In questo senso, i temi fichtiani a cui gli interpreti socialisti si riallacciavano erano quelli della soggettività come attività e relazione, del corpo come elemento imprescindibile per la destinazione etica, della società come bisogno metafisico dell’Io, di un’umanità libera che – in quanto genere – progetta se stessa e il proprio futuro. Tuttavia, rileggendo il Naturrecht e il geschlossene Handelsstaat, ciò che i teorici del socialismo tedesco primonovecentesco riscoprivano con maggiore entusiasmo era la concezione protosocialista della proprietà “espressiva” – non possessiva – e del conseguente diritto al lavoro, in cui pensavano risiedesse la maggiore carica di modernità del pensiero fichtiano. Il diritto al lavoro veniva, in questo modo, dedotto da un postulato trascendentale conseguente all’assunto per cui la soggettività è intrinsecamente esercizio di attività. In questo senso, i socialisti apprezzavano, in quanto primo garante del diritto al lavoro, l’idea dello Stato commerciale chiuso fichtiano, in cui l’economia avrebbe dovuto essere sottoposta ad un controllo etico-politico, finalizzato a livellare le disuguaglianze naturali, tramite la garanzia che ad ognuno venisse dato ciò di cui aveva bisogno, senza permettere impoverimenti e arricchimenti.
Dopo aver presentato le due “anime” della ricezione, nelle conclusioni, Alessiato pone l’interrogativo del perché in quelle circostanze storiche fosse stato scelto proprio Fichte per questa grande mascherata politico-culturale. La risposta che chiude la ricerca è che sia i nazional-conservatori, che i socialisti, in un momento di crisi in cui si faticava a comporre l’immagine dell’avvenire, avessero bisogno di un “pensiero del futuro” come quello fichtiano, una filosofia in virtù della quale l’uomo fosse artefice responsabile e libero della storia. Se, però, il futuro dei nazional-conservatori consisteva nella proiezione in avanti di un passato ipostatizzato, allora, suggerisce Alessiato, era il futuro aperto e progressista dei socialisti a conservare una maggiore fedeltà all’originale messaggio utopico-riformista fichtiano.
Nel suo volume, l’autrice, oltre che all’annunciato carnevale di maschere fichtiane, riesce a restituirci un Fichte come “prisma”, non soltanto perché presenta diverse facce selezionabili all’occorrenza, ma soprattutto perché, in quanto prisma ottico, è un solido trasparente nel quale la Germania primonovecentesca non si specchia semplicemente, ma si disgrega rivelando i propri volti politici. Per concludere, Lo spirito e la maschera è uno studio raffinato e completo, che non solo dà un contributo importante alla tradizione di studi sulla storia della ricezione di Fichte, ma offre anche una prospettiva inedita da cui illuminare la storia della cultura politica tedesca ed europea, anche nei nessi reciproci di politica e cultura filosofica. Inoltre, ha il pregio di esplicitare una ramificazione di possibili percorsi di ricerca e un prontuario metodologico per affrontarli. Per questo, non è avventato dire che la ricerca di Elena Alessiato fornisca anche l’esempio di un vero e proprio metodo generale per indagare e saper riconoscere sottotraccia, allontanandosi dalle discendenze lineari comprovate dalla citazione diretta della fonte, le sedimentazioni intellettuali riconducibili al pensiero fichtiano.