We are pleased to give notice of the release of the volume Effetto Hegel. Filosofia, arte, società, edited by Fortunato Maria Cacciatore and Francesco Lesce (Guida, 2020).
From the publisher’s website (in Italian):
L’influenza che il pensiero di Hegel ha eserciato sulla cultura contemporanea attraversa diversi ambiti del sapere – la filosofia e il diritto, l’antropologia e il pensiero politico, l’etica e l’estetica – animando le riflessioni dei più illustri pensatori del XX secolo. Ciò che il volume intende offrire al pubblico degli studiosi è un’esposizione, sia pure limitata, di alcuni luoghi topici della speculazione filosofica contemporanea ove la presenza dell’eredità hegeliana risulta viva, feconda e necessaria. Viva: laddove informa ambiti di riflessione tuttora aperti; feconda: poiché favorisce l’aprirsi di orizzonti speculativi inediti; necessaria: ove non cessa di lambire il “fondo” del pensare.
With the kind permission of the editors, we share with our readers the Table of contents and the Introduction to the volume.
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Indice
Premessa
Romeo Bufalo, Effetto Hegel. Considerazioni introduttive
Stefania Achella, Hegel e le neuroscienze. Per un altromondismo biologico
Georg W. Bertram, Ripensare la concezione moderna dell’arte in Hegel
Fortunato M. Cacciatore, Plebe, lazzaroni, “populismo” in transizione: riflessioni hegeliane
Francesco Campana, Hegel, Blanchot e la fine della letteratura
Giuseppe Cantillo, Rappresentazioni sensibili, fantasia, intelletto nel manoscritto hegeliano su psicologia e filosofia trascendentale (1793-1794)
Ines Crispini, Una lettura postkantiana della filosofia hegeliana del diritto
Mario Farina, Hegel e lo spirito assoluto: determinazione sistematica e spiegazione storica
Francesca Iannelli, Artisti oltre la fine. Suggestioni hegeliane per l’arte contemporanea
Francesco Lesce, La domanda di Heidegger sulla fine dell’arte
Fiorinda Li Vigni, Scene del riconoscimento. Hegel
Stefano Orofino, La dialettica Hegel-Adorno. Appunti per una riflessione estetico-filosofica
Luisa Sampugnaro, Arthur C. Danto. Una libera navigazione hegeliana
Alberto L. Siani, Croce e Gramsci su dialettica e arte in Hegel
Francesco Vitale, La finitezza infinita. Derrida interprete di Hegel
David Wittman, L’individuo e la sua destinazione: soggettività e oggettività nei Lineamenti di filosofia del diritto
Premessa
L’influenza che il pensiero di Hegel ha esercitato sulla cultura contemporanea attraversa diversi ambiti del sapere – la filosofia e il diritto, l’antropologia e il pensiero politico, l’etica e l’estetica – animando le riflessioni dei più illustri pensatori del XX secolo. Pare ovvio che un riscontro completo, al riguardo, non rientra fra gli scopi del volume. Ciò che qui s’intende offrire al pubblico degli studiosi è un’esposizione, sia pure limitata, di alcuni luoghi topici della speculazione filosofica contemporanea ove la presenza dell’eredità hegeliana risulta viva, feconda e necessaria. Viva: laddove informa ambiti di riflessione tuttora aperti; feconda: poiché favorisce l’aprirsi di orizzonti speculativi inediti; necessaria: ove non cessa di lambire il fondo [Grund] del pensare.
Leggendo i saggi viene da chiedere se non vi sia qualcosa che accomuni gli sforzi di animare un confronto essenziale con l’opera di Hegel, poiché tale appare l’impossibilità di filosofare dopo Hegel senza assumere le conquiste prime e ultime del suo pensiero. Perfino le confutazioni paiono raccogliersi sotto una tale evidenza.
Siano allora convocati, in via di esempio, due casi: tanto più eloquenti quanto più eterogenei. Da un lato Heidegger, il quale, volgendosi ad un confronto con Hegel, manifesta l’essenziale richiesta di essere a lui affine. Affine ad Hegel non vuol dire, in questo caso, uguale né identico.
Affinità – non è qui l’identità di un cosiddetto punto di vista, non l’appartenenza ad una scuola e ancor meno il trovarsi d’accordo su principi e concetti e assolutamente non il piatto livellamento del mettersi d’accordo sugli stessi cosiddetti risultati e progressi di una ‘ricerca’. Affine – significa vincolato alle prime e alle ultime necessità di fatto [sachlich] dell’interrogare filosofico[1].
Nelle battute finali del suo corso – Hegel’s Phänomenologie des Geistes (semestre invernale 1930/31) – Heidegger non mancherà di precisare: in questo confronto necessario «tutto deve restare aperto»[2]. Detto altrimenti: la comprensione della trascendenza dell’Esserci, nel confronto posto al crocevia di finitezza e infinità[3], lungi dall’aggrapparsi ad un’opinione definitiva, non potrà che continuare ad essere pensata sotto la luce di una relazione necessaria con l’opera di Hegel.
Su un altro versante, in occasione della sua celebre lezione inaugurale tenutasi al Collège de France, Foucault ribadisce il suo profondo debito nei confronti di Jean Hyppolite. Foucault avrà cura di chiarire l’apparente bisticcio fra l’afferenza dell’opera del grande maestro al «Regno di Hegel» e lo spirito di un’epoca che proprio all’eredità hegeliana pareva di sottarsi.
Sfuggire realmente a Hegel – afferma il nostro autore – presuppone che si valuti esattamente quanto costi staccarsi da lui; presuppone che si sappia sino a dove Hegel, insidiosamente forse, si sia accostato a noi; presuppone che si sappia, in ciò che ci permette di pensare contro Hegel, quel che è ancora hegeliano; e di misurare in cosa il nostro ricorso contro di lui sia ancora, forse, un’astuzia ch’egli ci oppone e al termine della quale ci attende, immobile e altrove[4].
Il debito nei confronti di Hyppolite era condiviso da tutti coloro che, dopo di lui, avevano tentato di percorrere il cammino lungo il quale ci si scosta da Hegel. Ma era indubbio che tutte le vie d’uscita richiedessero, a quei tempi, «un confronto da cui non era mai certo che la filosofia uscisse vincitrice»[5]. Del resto, alcuni punti di domanda rivelavano la misura di un’inquietudine sorta nella consapevolezza che la filosofia fosse divenuta, all’interno del discorso hegeliano, autonomamente capace di collocarsi in relazione tanto al proprio inizio quanto al proprio compimento: «si può ancora filosofare là dove Hegel non è più possibile? Una filosofia può ancora sussistere, che non sia più hegeliana? Quel che è non hegeliano nel nostro pensiero è necessariamente non filosofico? E ciò che è antifilosofico è per forza non hegeliano?»[6].
Si tratta di domande da cui traspare, a nostro parere, la necessità di un confronto non occasionale con Hegel, quindi con una “filosofia” (la filosofia?) che aveva posto da sé e in sé il proprio inizio e la propria fine: tanto la sua fondazione, in un atto originario di negazione, quanto il proprio compimento quale sua autonoma apprensione nella forma più elevata del concetto.
Su questo sfondo, tanto più, con diverso tono, è bandita la duplice insidia dell’hegelismo e dell’antihegelismo, tanto più, al di là di essa, il confronto con l’opera di Hegel si fa ineludibile. I saggi che compongono questo volume intendono sfuggire a questa alternativa che, come ogni opposizione binaria, sarebbe smentita da una lettura, fosse solo superficiale, della Scienza della logica. Pure un interprete come Toni Negri, ad esempio, che invita all’«odio» della «particolarità insubordinata» contro la «fascinazione» suscitata dal pensiero hegeliano, deve poi riconoscere che proprio tale «sentimento con la sua intensità» finisce per vincolare «contraddittoriamente» chi lo esprime alla dialettica speculativa[7]. E, in una prospettiva completamente diversa, si può citare ancora Lévinas che, critico quant’altri mai della dialettica in generale, ammonisce i denigratori (o gli apologeti) di Hegel troppo rumorosi e precipitosi con le seguenti parole:
Niente è più ridicolo che “avere un’opinione” su Hegel classificandolo – per sminuirlo o glorificarlo – tra i mistici o i romantici, tra gli antisemiti o gli atei. Non è a prezzo di termini approssimativi della nostra lingua quotidiana – anche se universitaria – che si comprende colui che permette di attribuire un senso valido a questi termini[8].
In tal senso, lo Hegel che speriamo di presentare nelle pagine seguenti non è il giudice supremo che, secondo un cliché duro a morire, avrebbe preteso di sancire la «fine della storia» (à la Fukuyama, per intenderci), ma il pensatore che, come osserva Derrida, tutto ha pensato fuorché un tale arresto empirico della storicità:
Per poco che lo si legga e se ne faccia altra cosa che – diciamo qui precisamente – un ritardato, va da sé che la fine della storia e della filosofia non significano per Hegel un limite fattuale dopo il quale il movimento della storia si sarebbe fermato, interrotto ma che (…) l’apertura infinita della storicità è infine apparsa come tale, o infine è stata pensata come tale, vale a dire come apertura infinita[9].
Ecco perché la rilettura delle pagine hegeliane sull’estetica, sulla storia, sulla politica e sull’eticità, a partire da sensibilità e approcci differenti, non si limita a ricostruzioni storico-antiquarie o storico-monumentali (Nietzsche), ma risponde all’esigenza, storicamente inesauribile, di apprendere il proprio tempo in pensieri, soprattutto quando (ma forse è sempre, inevitabilmente così) il proprio tempo è percepito come momento di crisi e di transizione.
[1] Heidegger (1991), p. 64.
[2] Ivi, p. 213.
[3] Ivi, p. 107.
[4] Foucault (2001), p. 38.
[5] Ivi, p. 39.
[6] Ivi, p. 38.
[7] Negri (2011), p. 44.
[8] Lévinas (2004), pp. 296-297.
[9] Derrida (2019), p. 27.